Il nostro MVP Ep.3
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Il nostro MVP Ep.3

Doveva essere il nostro Mvp di dicembre avendo messo a fuoco e fiamme ogni parquet ma con il nuovo anno non si è fermato.

Abbiamo aspettato che il fuoco cessasse di bruciare. Ma il fuoco ha cominciato ad ardere ancora di più. Siamo quasi a fine gennaio e Harden continua a macinare prestazioni pazzesche portandoci anche a creare un contest tutto per lui... venti partite sopra i trenta punti...striscia aperta e, di queste, nove sopra i 40 punti e tre sopra i 50 con due season-high consecutivi, il primo da 57 punti e il secondo, due giorni dopo, da 58.

Primo come media realizzativa nella stagione con 35,7 pt.

Primo come media di tiri liberi a partita (11,6) con una media dell' 86,3% realizzati.

Primo nella classifica come tiri da tre tentati (13,1, davanti a Curry con 11,7) con una media del 37,8%.

Primo nella classifica come tiri dal campo tentati, con una media di 23,6 (44 %).

Terzo per triple doppie (6, al pari di Jokic ed a una sola lunghezza da Simmons).

A leggere questi numeri, impressionanti, verrebbe da pensare che, effettivamente, Harden sia un player che gioca da solo, che fa rimbalzare così tante volte la palla che forse, cerca di capire se dentro ci sia una sorpresa. Ma la sorpresa è per il poco attento lettore di statistiche.

Quarto per assist a partita (8,3 davanti a Simmons e dietro a Wall). Però, facile giocare a tirare...ma la difesa? Quinto per steals, che non vorrà dire tutto, ma, indubbiamente, qualcosa vorrà pur significare e su tutto un'attenzione sicuramente elevata rispetto a quello che era il suo standard negli anni precedenti.

A proposito di anni precedenti, facciamo un passo indietro per capire un po' meglio la persona James Harden. Innanzitutto, bisognerebbe aggiungere il Jr al cognome, per completezza di dati anagrafici. Il fatto che lo junior non venga mai utilizzato è per una scelta del giocatore stesso che ha, in questo modo, voluto troncare i rapporti con un padre che non ha mai partecipato alla sua crescita e non solo perchè a stagionare in cella.

James nasce a Los Angeles il 29 agosto 1989 e frequenta l'Artesia High School di Lakewood dove già si mette in mostra portando la sua squadra al titolo con un record di 33-2. Finita l'esperienza del college, rimane al caldo frequentando il college di Arizona State dove continua a mettersi in mostra chiudendo con medie di 20 punti, 5 rimbalzi e più di 4 assist. Si rende quindi eleggibile al draft del 2009, dove verrà scelto dagli Oklahoma City Thunder ( mi duole a livello personale, ricordare che fu la prima scelta di questa neo nata franchigia, subentrata a Seattle) e dove troverà come compagni, Kevin Durant e Russel Westbrook a formare un trio niente male già allora ma soprattutto se visto con gli occhi di oggi. Lui parte da sesto uomo e, nonostante questo ruolo gli stia stretto, vince il relativo titolo nel 2012, chiudendo la stagione con il 41,9% dal campo con una media di 4,1 rimbalzi e 3,7 assist. La sua forte determinazione lo porta a cambiare aria e sposare la causa di Morey, il GM di Houston che, essendo impallinato di stats avanzate intravede le potenzialità dell'appena eletto sesto uomo dell'anno e fa di tutto per portarlo ai Rockets.

Comincia un'estenuante trattativa tra lui e Presti, manager dei Thunders che, alla fine cede, principalmente per motivi economici. Per il giovane James erano gli anni “del mettersi in mostra”, dove la squadra si, contava, ma lui di più. E i risultati in campo furono soddisfacenti per il giocatore ma non per il team texano che mai divenne una vera contendente al titolo.

Maggior rimprovero al Barba, l'atteggiamento difensivo che, più che disinvolto, sembrava del tutto assente. Per Morey rimane il player “foundational”e deve solo trovare la giusta compagnia da affiancargli nelle scorribande sul parquet.

E' il 2016 quando arriva coach D'Antoni. Da una parte, abbiamo un giocatore che scorrazza per il campo portandosi dietro la palla fin quando non trova il modo di tirare o, con più moderazione, di passarla ad un compagno con la possibilità di tiro. Dall'altra, un coach che fa del run & gun il suo motto ed il suo credo. Non sembrano, sinceramente, una coppia ben assortita.

Passano l'estate a sentirsi e a vedersi. Passano l'estate a vedere filmati, soprattutto, di Nash. James si diverte ma qualche dubbio gli viene “Uh, Coach? I have to say … I’m not the biggest fan of Seven Seconds or Less.” . D'Antoni, con la sua tranquillità, gli spiega che il punto non sono i sette secondi o meno ma “sacrificing for something bigger than myself “.

Dopo tanti anni di Houston, vuoi per affetto, vuoi per età, qualcosa in Harden stava cambiando. Stavano finendo i tempi “del mettersi in mostra”. Alcuni suoi compagni davano esempi diversi mentre il coach gli chiedeva di sacrificarsi per qualcosa di più grande di lui. E gli chiedeva anche di essere una point guard, anzi, non glielo chiedeva ma gli diceva “we need you to be a point guard”. A dire il vero, già al college James dimostrò di essere un buon passatore, ma, in questi anni di Nba, non era certo quella la caratteristica che lo portò alla ribalta. La stagione che ne segue, porta con se questi numeri: 29,1 punti (career high per Harden), 11,2 assist (career high e miglior assistman della lega), 8,1 rimbalzi (career high), 22 triple doppie (career high) e secondo posto come Mvp. D'Antoni, invece, si porta a casa il premio di “coach of the year”.

I dubbi sulla coppia vengono, indiscutibilmente, fugati e per James comincia una nuova era, quella del “What does this team need to do to win? . E siamo arrivati a qualche anno dopo...al presente...e se, dei numeri di Harden ne abbiamo già parlato, non abbiamo ancora affrontato l'argomento che più di tutti pende come spada di Damocle sul giocatore dei Rockets. James è stato spesso accusato di perdersi nei momenti cruciali, in particolar modo se si tratta di play-off. Al suo vecchio allenatore, McHale, che di lui dice “è un gran giocatore, ma non un leader”, James risponde che “ è un pagliaccio” e che ha l'abitudine di dire alle spalle il contrario di quello che dice in faccia. Ma per Harden, le critiche non sono una novità dato che è uno tra i giocatori con più haters. Curiosamente, in questa classifica, si ricompone il trio che fu dei Thunder dato che anche (e forse di più) Westbrook e Durant primeggiano. Ora starà a lui dimostrare che “run as one” non è solo un motto ma una corsa che potrà portarli a contendere per il titolo e che, effettivamente, si corre e si vince assieme, al di là degli haters. Furono ipotizzati seri problemi tra lui e il coach. I numeri dicono il contrario. Furono ipotizzati seri problemi tra lui e Paul, e anche qui, i numeri dicono il contrario. Furono ipotizzati seri problemi con un centro giovane come Capela. E i numeri, indoviniamo un po', dicono il contrario.

Su Capela Harden dice “ He’s one of the most willing-to-learn young guys I’ve ever played with “ e i numeri dicono che Capela sta giocando con una media di 12,6 rimbalzi (8° in classifica) e 17,6 punti frutto del 63,1% al tiro. Insomma, dalle parti di Houston, è da inizio dicembre che non si sente più nessuno dire “ abbiamo un problema” ma è anche vero che ora che tutto gira a meraviglia è più facile parlare ed incensare. Perciò, prendiamo spunto dalle parole dello stesso Harden per vedere e capire cosa succederà nel prossimo futuro “The rest? It’s extra. So I’m gonna stop now and let our play do the talking “. Noi, intanto, prepariamo pop corn e birra per goderci lo spettacolo.


photo source: thecoachesdaughters.com

- Luca Maestri -


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